Le agenzie delle authority: gli sprechi e le inefficienze di liberalizzare e de-regolamentare

Segreteria nazionale confederale 30/07/2014 16:25:05

Costano 208 milioni di Euro e servono solo a sancire una situazione di dominio di pochi sui molti

Sono presenti da diversi anni ormai nel nostro ordinamento giuridico e a loro sono affidate gli strumenti per la regolazione della concorrenza e del mercato. Sono le Autorità Amministrative Indipendenti. Questi istituti sono stati trapiantati nel nostro ordinamento agli inizi degli anni’90 e hanno il compito di tutelare gli interessi pubblici in settori come la concorrenza, l’energia elettrica, i trasporti, e le assicurazioni. Lo strumento che hanno a disposizione è il diritto comunitario, e nei casi nei quali si configuri un contrasto tra la norma italiana e quella comunitaria, in modo particolare per quello che riguarda la concorrenza e il libero mercato esse hanno il potere di disapplicare il diritto nazionale e applicare quello comunitario.

 Il potere di regolare e stabilire le tariffe di un servizio pubblico passa dalle mani dell’esecutivo e della politica nelle mani di tecnici che ai più sono sconosciuti e non sono stati eletti democraticamente. Qui già si pone un problema di legittimità costituzionale di questi istituti. La nostra Costituzione non prevede un’impostazione che metta in primo piano la concorrenza e il mercato, ma al contrario l’utilità sociale è sempre centrale nell’iniziativa economica come recita l’art. 41 della Costituzione, quindi la domanda legittima che ci si deve porre è se le authority siano legittimate ad applicare il diritto comunitario il quale mette al primo posto la concorrenza. La ragione fondamentale e il fine primario che ci è stato detto per la nascita delle AAI è la riduzione dei costi e dei servizi pubblici. La mala gestio della politica era diventata opprimente ed era necessario sottrarre al potere politico la gestione dei servizi e lasciare spazio ai tecnici che avrebbero rimesso a posto le cose, abbattendo il costo dei servizi stessi.

 Qualcosa è andato storto probabilmente, ma il costo dei servizi pubblici è aumentato in quasi tutti i settori e lo dimostra un rapporto della CGIA di Mestre: l’acqua è aumentata dell’85,2%, i rifiuti dell’ 81,8%, i pedaggi autostradali del 50,1%, i trasporti urbani del 49,6%, le assicurazioni sui mezzi di trasporto sono salite del 197,1%. Per dirla con le parole del presidente dell’associazione degli artigiani di Mestre, Bortolussi: “Segnaliamo che le liberalizzazioni hanno portato pochi vantaggi ai consumatori. Anche perché in molti settori si è passati da un monopolio pubblico ad un regime oligarchico che ha tradito i principi legati ai processi di liberalizzazione. Pertanto, invitiamo il Governo Renzi a monitorare con molta attenzione quei settori che prossimamente saranno interessati da processi di deregolamentazione. Non vorremmo che tra qualche anno molti prezzi e tariffe, che prima dei processi di liberalizzazione/privatizzazione erano controllati o comunque tenuti artificiosamente sotto controllo, - conclude - registrassero aumenti esponenziali con forti ricadute negative per le famiglie e le imprese”.

 La terra promessa delle liberalizzazioni è rimasta un lontano miraggio, quel mondo dove tutti si fanno concorrenza e il consumatore ha a sua disposizione una illimitata scelta di prodotti a basso costo è rimasto qualcosa scritto solo sulla carta, ma non realizzabile nella vita quotidiana di tutti i giorni. Se prima i servizi pubblici venivano gestiti in via esclusiva dall’esecutivo e dai ministri era proprio per impedire che si venissero a creare situazioni dove pochi privati si spartiscono la torta dei servizi pubblici, come le autostrade, la telefonia, le ferrovie settori nei quali non può esistere nessuna concorrenza ( quante autostrade ci sono per arrivare da Roma a Milano?) e per impedire la nascita di un regime oligarchico di pochi privati completamente disinteressati a farsi la guerra ma ben disposti a mettersi d’accordo e a spartirsi le fette di mercato. Si badi bene che per anni è stato detto e ripetuto che era il pubblico il nemico da abbattere, lo Stato non doveva e non deve entrare nella regolamentazione del mercato. Ora questo piano si sta realizzando. 

 Lo Stato minimo che teorizzava von Hayek marcia a tappe forzate verso la sua ascesa. Nell’elenco dei settori da privatizzare è rimasta la sanità, le poste e forse persino le carceri avvicinandosi sempre di più a quel modello calvinista liberista anglosassone che prevede la concorrenza e il lucro in ogni settore, ma che in realtà si traduce in un conflitto tra pochi individui che hanno a disposizione mezzi e possibilità che la grande maggioranza dei membri della società non può avere. 

 E’ questa la ragione per cui i padri costituenti decisero di costruire uno Stato sociale, che prevede un modello capitalistico sostenibile in cui lo Stato non sta a guardare ma sana quelle situazioni di conflitto e riequilibra le inevitabili situazioni di diseguaglianza che si creano, realizzando il principio dell’uguaglianza sostanziale dell’art.3 della Costituzione. In questo contesto le authority non fanno altro che sottrarre poteri di intervento allo Stato e avocano a sé i poteri di regolazione dei servizi impedendo quel necessario riequilibrio dei costi che lo Stato prima riusciva a realizzare. Quelle stesse authority che costano ai cittadini italiani 208 milioni di Euro, e che non fanno altro che sancire una situazione di dominio di pochi sui molti. La sola AGCOM, l’Authority per le Comuni­cazioni, ha un costo di 48 milioni di Euro con stipendi pro capite di 138mila Euro. La domanda è se l’AGCOM ha per caso visto lo spot di propaganda sovietica sui benefici che l’Unione Europea avrebbe portato ai cittadini, che va in onda sulle reti RAI da diversi mesi(anche in piena campagna elettorale per le elezioni europee) ormai. 

C’è ancora una legge sulla “par condicio” che regola minuziosamente la trasmissione di spot elettorali e lo spot pro UE rappresenta una palese violazione di questa disposizione legislativa. L’AGCOM  non  può intervenire? Un’ultima domanda: chi conosce il nome del Presidente dell’AGCOM? La risposta a questa domanda fa capire perché nessuno protesta contro le authority.

 

 

di Cesare Sacchetti
(Coordinatore di Roma del Movimento base Italia)

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